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Avril
2004
Gli intellettuali e l'intelligenza
par Pier Paolo Ottonello,
Professeur de philosophie à
l'Université de Gênes, doyen du Disspe,
dir. de Filosofia oggi, Riv. rosm. di
filosofia, Studi Europei et Studi Sciacchiani
1. L'intelligenza è intuizione dell'idea nella sua verità di relazione fra
indeterminato e determinato, come idea una e plurima, di essere e di ente,
astratta e concreta: è dialetticità, criticità, dinamicità unitotale. È in atto
in quanto intera tensione all'intero: eros insieme povero dell'intero e ricco
della sua ricerca, sempre imperfetto e navigante nel pelago della nostalgia del
Perfetto, dell'Assoluto. Distinguendo idee le pone in rapporto ordinato: è la
concretezza intera del distinguere-ordinare in se stessa astratto e concreto e,
distinte da sé e da sé ordinate, intelligenza e volontà, teoreticità e
moralità, intuito e amore. Tensione all'intero reale entro e attraverso
l’intero ideale, alla pienezza dell'Assoluto Via Verità Vita entro e attraverso
l'intuito intero della verità ideale nella sua plurimità, vera nella sua
unitotalità. Intelligenza e amore costituiscono l’unitotalità della persona, la
sua dinamica perfettiva, pleromatica, inesauribile entro l’esauribilità
temporale e compiuta nei suoi limiti nell'eternità. La struttura ontologica
della persona è l'ascesi della ricreazione inesauribile dell'ordine oggettivo,
insieme in se stessi, in rapporto agli enti e all'Essere Amore Creatore.
2. L'ascesi, inesauribile entro l’esauribilità temporale, in ogni suo atto
si pone in positività o negatività, costruttività o distruttività, a seconda
che ogni singola scelta che la sostanzia integri la fedeltà alla sua dinamica
perfettiva, che si attua solo attraverso la croce della libertà che se stessa
come dono, oppure se ne allontani, allentando la tensione costitutiva,
tradendola o disertandola, per la paura della sua assolutezza, attraverso cui
impoverisce e isterilisce il proprio costitutivo essere amore[1].
Tradimenti e diserzioni costellano la qualsiasi anche piú perfetta ascesi
personale, cosí come ogni reale progresso storico: non la negano finché si
giudichino, con intelligenza d'amore, come tali, nella loro verità negativa e
limitativa, dunque da purificare entro l'orizzonte del Perfetto. Nel momento
che invece si assumano come positività e ampliamento di libertà e finché si
assumano come tali, cresce l’ascesi negativa fino alla normalità della
corruzione, la cui necessaria coerenza ultima è la distruzione del suo stesso
autore, la singola persona che la scelga, e della società in rapporto con la
quale essa si costituisce.
3. La storia è dunque l'intersecarsi di ascesi positive e negative, di
tensioni ordinatrici e di dissoluzioni caotizzanti. Criterio vero di
autogiudizio storico, che ne distingua e relazioni trame e ordito, è la
presenza di prospettive profeticamente "apocalittiche", cioè che
diano primazia essenziale, dunque finale ed eterna, al Vero Bene Bello; oppure
di prospettive profeticamente "progressiste", nella direzione della
svalorizzazione progressiva della differenza fra positivo e negativo, fino alla
negazione di ogni senso e forma di Assoluto, dunque, coerentemente, anche di
finito. Il primo tipo di prospettiva contrassegna la dinamica del progresso,
sia del singolo sia della storia e del cosmo; mentre il secondo contrassegna le
dinamiche dissolutorie, che, in quanto tali, si autorappresentano e diffondono sub contraria specie, simulatoriamente,
come dinamiche della pacificante organizzazione mondiale.
4. Tre soli esempi di "laicissime" profezie capovolte sono
sufficienti a segnare, in modo simbolico, le principali traiettorie della
contemporaneità fino all'oggi. Il Rousseau del Discours sur les sciences et les arts nel 1750 profetizza, in
realtà, le "infelici ignoranze" dell'esplosione, in apparenza a
catena, proprio di scienze ed arti che si sono "liberate" dalla
zavorra di ogni «suprema saggezza». Il Kant della "pace perpetua",
dopo meno di mezzo secolo (1795), spalanca le cateratte di un’"età delle
rivoluzioni" appena dischiuse sul suolo inglese e francese: sulla base del
nuovo dogma — filiato dalla sostanziale scissione fra teoretico e pratico, di
retaggio luterano, che resterà nodo tragico in Hegel — secondo il quale, come
scrive Kant, «il possesso della forza corrompe inevitabilmente il libero
giudizio della ragione». Il Nietzsche dell'"oltreuomo" annuncia, dopo
meno d'un secolo, la successiva "età delle guerre mondiali e dell'anarchia",
cioè della normalizzazione del sub-umano e dell'eclissi delle società ordinate
e del loro ideale.
5. I grandi esempi di prospettive proprie delle ascesi positive, di
conseguenza, appaiono, "normalmente", remote e affatto
"improponibili". Convogliato in Platone — attraverso il pleroma del
divino nous con il migma, ossia attraverso la relazione fra
ordine e caos, del vetusto Anassagora, maestro del suo maestro Socrate — l'eros
rifluisce nell'ordo amoris di
Agostino e nella sua estensione sistematizzante di Tommaso, e fruttifica, in
modo fino ad oggi senza pari, quanto a interezza e concretezza, nell'ordine
metafisico della carità in Rosmini, che non a caso è l'unico grande critico
costruttivo di Kant e di Hegel come prodromi nichilistici. Non passerà mezzo
secolo dalla sua "sepoltura" e prolifereranno gli omuncoli della
schiatta nietzscheana, come è ovvio in modo sempre piú "gridato",
postprofeticamente, sub contraria specie:
dal Manifeste des intellectuelles del
1898 — mentre Nietzsche è all'ultimo suo stadio e insieme il suo pensiero sta
irrompendo esplosivo in Europa — a Wissenschaft
als Beruf, con cui Weber chiude mondialmente la "prima" guerra
(1918), con un manifesto dell'oltre-borghese, già in corsa ai primi posti della
pretecnocrazia, in funzione della quale sono legittimate le "ricerche
scientifiche", ossia gli intellettuali come loro "operatori",
sempre meno auctores di scienza e
sempre piú allontananti l'intelligenza da orizzonti metafisicamente
sapienziali.
6. È logica che caratterizza la quasi totalità della fenomenologia storica,
perché caratterizza le miserie umane: i proclami e i programmi si moltiplicano
"a buoi scappati". Le querelles
sull'"intellettuale" proliferano in proporzione geometrica al gettare
alle ortiche l’"intelligenza metafisica, sostituendo antifilosofia alla
filosofia, anticultura alla cultura[2],
da parte della genia degli intellettuali che nemmeno ormai si riconoscono in un
loro fantasmatico singolare, nell'"intellettuale" come categoria:
organico o disorganico, neoschiavo o neomandarino, oppiato o spartitraffico
stupefacente[3]. Ma tale
quadro, autoeufemizzato in termini di "complessità", può essere,
comunque, residualmente significativo solo distinguendo e correlando sempre di
nuovo intelligenza e volontà, dinamiche riduttive e dinamiche integratrici.
L'unica alternativa a tale percorso è la crescente confusione, che può vedersi
rispecchiata intorno ad un "intellettuale", il cui nome, da parola
chiave, è fatta grimaldello per sempre piú soddisfacenti "bottini" tecnocratici.
7. Il dogma dominante, dalla riduzione baconiana del significato del sapere
essenzialmente all'utile, per progressivo toglimento della capacità e del
compito di distinguere e correlare fini, prossimi e ultimi, e strumenti, emerge
nei termini di alternative, sempre piú aspre e sterilizzanti, fra
l'intellettuale e il potere. Per cui, come accade ad esempio in Men of Ideas del Coser (1965), i loro
rapporti possono configurarsi, all'estremo, o come dominio delle idee e come
dominio della forza, o come utopica panta‑scienza o come cruenta
"trasformazione" del mondo. Alternative storicamente realissime ed
esplosive, ma di volta in volta ridotte a "fuochi di paglia" dalle
costanti vittorie del conformismo, che è la cucina giornaliera che inverte l'impresa
alchemica, trasformando ogni oro in piombo, ogni fine in strumento
tendenzialmente autofinalizzantesi. Il massimo nemico dell'intelligenza
metafisica è infatti l'intellettuale che, comunque abbigliato o camuffato, si
faccia il midollo stesso di quel borghese icasticamente categorizzato, senza
pari, da Hegel, là dove ne incide la fisionomia, piú o meno mascherata, come
imperniata sul non godere del godimento, «bensí dell'immagine di fronte a se
stesso che egli possiede questo godimento»[4].
Siamo agli antipodi negativi rispetto alla dinamica rosminiana
dell'"appagamento", fondato sul possesso delle ragioni ultime,
formali reali morali, dell'unitotalità ontologica.
8. La condizione assoluta della costruttività e concretezza
dell'intellettuale è il suo fondarsi sull'intelligenza metafisica: sicché le
elaborazioni innumerevoli dell'intelligenza e della riflessione si fondano a
loro volta sulla distinzione e sulla relazione reciprocamente integratrice di
intelligenza e volontà, di intelligenza e amore, di vero‑bene‑bello.
Ciò che Rosmini sintetizza senza pari nei termini secondo i quali «la cultura
(...) intellettuale non ha ragione di bene in sé sola considerata; ma ha
ragione di bene quando è diretta ad accrescere nell'uomo la morale perfezione e
serve veramente a questo fine»[5].
Dove nessun'altra forza, se non quella, massima, delle idee stesse, è il
fondamento, in uno, delle scienze tutte nel loro organismo e del principio
supremo del governo di ogni società: in quanto la cultura, come il compiersi
pieno della persona, e il potere, come il connettivo essenziale di ogni
società, per poter attuare pleromaticamente persona e storia, si fondano sulla
distinzione e correlazione fra ciò che è sostanziale e necessario e ciò che è
accidentale[6].
9. Soltanto l'intellettuale fondato
sull'intelligenza metafisica è libero — libero da ogni potere ed entro ogni
potere —, in quanto la libertà può essere ed essere in pienezza solo se a sua
volta fondata sulla verità oggettiva, che feconda l'infinità dei veri anziché
ampliare senza limiti il relativismo dei dubbi scettici, il quale genera «la
dogmaticità dei totalitarismi o il cinismo dei manipolatori"[7]. Ogni qualvolta si discosti dall'orientarsi alla
finalità ultima del compimento di tale ordine, l'intellettuale, quanto piú si dimostri
'inventivo' e 'astuto', tanto piú è stupido, e dunque, potenzialmente, omicida
e suicida. La qualsiasi civiltà, pur possente e dominante, che in sostanza si
basi sull'oscuramento dell'intelligenza metafisica — la cui fondamentale
conseguenza è la "confusione", indotta e poi inconsapevole, fra
essenziale e inessenziale —, in realtà può crescere solo nella normalizzazione
delle ascesi negative, partorendo come normalità massificata stereotipi,
infantilismi, squallori, caotizzazioni: i nominalistici "contributi"
alla "razionalizzazione".
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© THÈMES II/2004
[1] Rinvio al mio brevissimo Trattato della Paura, Marsilio, Venezia, 2003.
[2] Mi riferisco ai termini cardinali della lotta costruttiva
condotta da Sciacca in tutto il suo percorso. Cfr. il mio Sciacca, la rinascita dell'Occidente, Marsilio, Venezia, 1995,
nonché Sciacca, l'intelligenza metafisica
oggi, Atti del VI Corso della 'Cattedra Sciacca', a mia cura, Olschki,
Firenze, 2001.
[3] Rinvio all'articolo di Mario Gennari, Formazione e trasformazione dell'intellettuale, "Pedagogia e
Vita", 2002, n. 5, pp. 49‑67 (ricco anche di una completa
bibliografia essenziale), che mi ha sollecitato la stesura di queste
riflessioni.
[4] Jenenser Realphilosophie, ed. J. Hoffmeister, Lipsia 1931‑32,
vol. II, p. 256.
[5] A. Rosmini,
Compendio di etica, a cura di M.
Manganelli, vol. 29 dell'Ed. Naz. Critica delle sue Opere, Città Nuova, Roma,
1998, n. 357, p. 128.
[6] Cfr. A. Rosmini, Della sommaria cagione per la quale stanno o rovinano le umane società,
in Filosofia della Politica, a cura
di M. D'Addio, vol. 33 dell'Ed. Naz. Critica citata, Città Nuova, Roma, 1997,
c. XVII, p. 116.
[7] E. Zolla,
Eclissi dell'intellettuale, Bompiani,
Milano, 1959 3, p. 197.