Revue de la
B.P.C. THÈMES 7/2001
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par Pier Paolo Ottonello,
Doyen du
Département de philosophie de l'Université de Gênes,
Directeur de Filosofia 0ggi,
prés. de L'Arcipelago
La
riflessione piú semplice ci restituisce la sostanziale reciprocità fra
insegnare e disegnare. Il latino designare,
da cui il nostro disegnare, associato al docere, che significa orientare ad un fine, ordinare, far sapere,
si può fare equivalere appunto al nostro insegnare. E sia il latino designare, sia l'italiano insegnare e disegnare, sono evidentemente
imperniati sul sostantivo signum, come
lo è pure un'importante famiglia di parole italiane, come ad esempio segnare, contrassegnare, consegnare,
assegnare, significare, sigillare. Perciò si potrebbe sostenere la tesi:
non si può insegnare in senso pieno senza il disegno. Evidentemente nel senso
per il quale insegnare è individuare, è formare
segni, come molteplicità diversamente ordinabile; ed è sigillarli, ossia fissarli nella loro forma determinata; ed è consegnarli
agli altri, assegnando a ciascuno i
tipi di segni e delle loro elaborazioni che si giudicano piú adatti alla
crescita di ciascuna persona. Il sistema dei segni è il linguaggio stesso, in
qualunque sua forma. I segni sono tali in quanto designano un significato: in ogni caso, presuppongono disegni mentali, dunque anche
progetti, che tendono a prender forma comunicabile, mediante gli essenziali
disegni che sono i segni; i quali a loro volta si moltiplicano e si pongono in
relazioni molteplici secondo altrettanti disegni o schemi mentali. Qualsiasi
segno è dunque comunicabile e riconoscibile come designante quel determinato
significato, o idea, solo mediante il disegno che lo struttura. E qualsiasi
significato è tale in quanto il disegno interiore armonizza con il segno
esterno riconoscendolo nella sua intenzionalità significativa. Queste semplici
considerazioni mi pare confermino, tra l'altro, quanto Leon Battista Alberti
scriveva nel 1450 nel De re aedificatoria, ossia che «lo edificio è un certo
corpo fatto ( ... ) di disegno, e di materia: l'uno si produce dallo ingegno,
la altra dalla natura». Il che vale del resto per qualsiasi forma di edificare.
Pochi anni prima (1437) nel suo Libro
dell'arte Cennino Cennini tratta del «disegnare di penna» come
sollecitatore di «molto disegno entro la testa». Il disciplinato esercizio
delle attività sensibili arricchisce anche l'ideazione. Credo che in questa
accezione fondamentale ed ampia si debba considerare la nota asserzione di
Michelangelo, secondo cui il disegno è «la radice di tutte le scienze».
In
realtà, siamo tanto immersi in un oceano di segni, che facilmente non ne
raggiungiamo una sufficiente consapevolezza, né un adeguato concetto. Dai segni
piú semplici, quali possono essere i disegni della segnaletica stradale, a
quelli via via piú complessi, quali i linguaggi logici e matematici, fino alle
forme altamente miste, ad esempio dei disegni stilizzati tipici dei marchi con
cui si contrassegnano anche i piú minuti prodotti della tecnologia.
Probabilmente i linguaggi si sommano l'uno all'altro: di rado si sintetizzano,
piú spesso si sovrappongono. In ogni caso, non scompaiono mai del tutto quelli
che consideriamo passati, ma si rielaborano entro sistemi nuovi e piú complessi
di segni. Potrebbe stupirci chi sostenesse la sopravvivenza, oggi, dei
linguaggi pittografici, tipici delle lingue non alfabetiche. In realtà, i
sistemi pittografici hanno continuato a crescere a fianco dei linguaggi
alfabetici, nella forma di segni simbolici, arricchendosi per forme di
rilevante complessità. La loro differenziazione dà maggiore rilievo di
significato sia .Il linguaggio
alfabetico, come estrema stilizzazione di pittogrammi, sia all'articolarsi e
arricchirsi, come disegni, dei linguaggi grafici non alfabetici. Normalmente
riteniamo di trovarci entro il dominio della razionalità tecnologica,
caratterizzata da linguaggi "esatti" in modo sempre piú
rigoroso, esteso e universalizzato. In realtà,
tali linguaggi sono, al tempo stesso, sempre piú astratti e sempre piú
simbolici, e dunque devono trovare nuove forme
di alleanza, di reciproca integrazione, fra segni puramente convenzionali,
quali cifre, lettere, simboli, ossia disegni stilizzatissimi, e disegni, ossia
immagini, il cui significato sia assegnato non tramite un sistema di
convenzioni, ma nel modo piú libero, creativo, perciò dotato di pregnante
energia di suggestione ed efficacia. Gli esempi forse piú tipici che
l'esperienza quotidiana ci offre sono quelli della réclame, sia stampata, fissa, sia proiettata, mobile. In questo
senso siamo immersi in un oceano di disegni,
ossia di rappresentazioni piuttosto fantastiche che non realistiche, ancor
piú che in un oceano di simboli e segni convenzionali; anche se poi le immagini
piú fantastiche sono usate in prevalenza per creare e cristallizzare
convenzioni, ad esempio quelle che possiamo assemblare entro il termine
"mercato", e dunque sviluppano in prevalenza pressioni
conformistiche.
Insegnare è dunque essenzialmente
indicare, designare realtà
determinate, mediante i loro disegni o immagini o simboli o segni: è indicarle nella loro determinatezza e nelle loro
relazioni, reali e possibili, dunque nel loro ordine, attuale o potenziale.
Insegnare è insomma trarre dal disegno
interiore della realtà altri disegni interiori capaci di trasformarne la
forma di ordine, nella quale la percepiamo, in altre forme di ordine,
diversificate e sempre piú perfette, nonché I e loro rappresentazioni
esteriori. L'immagine è perciò essenziale in ogni forma di insegnamento e di
linguaggio: è essenziale quanto il concetto, che è la forma della massima
essenzialità e universalità dell'immagine. Linguaggi
concettuali e linguaggi per immagine si integrano e arricchiscono a vicenda,
anziché escludersi o ridursi. Gli esempi piú classici in proposito potremmo
toglierli dalla geometria. Gli esempi piú ampiamente diffusi costellano le
modalità della comunicazione cosiddetta scientifica, ad esempio nelle forme dei
grafici e delle illustrazioni.
Ma, prima ancora di pervenire a queste
forme complesse e articolate e spesso sofisticate di elaborazione di ciò che
propriamente possiamo chiamare disegno ‑cioè l'essenzializzazione grafica
organica di segni ‑, possiamo riflettere sulle radici stesse del
costituirsi di qualsiasi forma di disegno. Il
disegno in questo senso è la determinazione
sensibile di un'immagine mentale. Niente posso costruire, né comunicare ‑
nessuno strumento, nessuna macchina, nessuna città, nessuna società ‑ se
non tramite immagini mentali, o idee. Le infinite forme di disegno e le
infinite formazioni dei segni e dei simboli sono traduzioni sintetiche
sensibili delle immagini mentali: hanno anzitutto valenza conoscitiva e
comunicativa, in quanto dicono in modi diversi l'essenza, la struttura e il
significato delle singole realtà.
Se
io mi limitassi alle mie percezioni sensibili ‑ vista, udito, tatto etc.
lasciandole puramente fluire nella loro indeterminata libertà, senza occuparmi
di raffrontarle, sceglierle, memorizzare quelle scelte, riconfrontare quelle
memorizzate con quelle che di istante in istante ricevo, poco a poco diminuirei
le mie capacità riflessive e critiche e le lascerei dissolversi nella pura
indeterminatezza. Al limite estremo, spegnerei in me ogni capacità di scelta e
di giudizio e semplicemente mi lascerei vivere e consumare sino a non voler
vivere, fino al suicidio per abbrutimento.
Se invece attuo il piú pienamente
possibile le mie capacità insieme di percepire e di confrontare di volta in
volta le mie percezioni e sensazioni, le presenti con le passate, con quelle
delle passate che ho scelto di memorizzare, facendo ciò opero una serie di
scelte ed atti che finalizzo ad una sempre piú vigile e robusta capacità di
distinguere e di fondere, di separare e di riunificare le variegate sensazioni,
dando loro, di attimo in attimo, forme nuove, traendo dal loro flusso piú
sfuggente elementi stabili e armonici e insieme nuovi, senza limiti.
Solo cosí, ad esempio, posso inventare qualsiasi cosa, dalla piú
semplice alla piú complessa: solo facendomi signore del fluire, solo domando la
ribellione incessante dell'informe sentire, dell'immediatezza del sentimento,
ossia dandole forma e facendola feconda di futuro, di forme sempre nuove. Per
ottenere la fecondità della fantasia, come capacità di scomporre e ricomporre
infinitamente le percezioni, devo mettere in atto una disciplina, un esercizio di ordinamento e riordinamento del flusso
del mio sentire.
Certamente
uno dei modi eccellenti di tale esercizio è il disegno: attraverso il disegno
scelgo infatti elementi distinti del complesso delle mie sensazioni e le
determino dando loro forma sensibile. La forma in cui consiste il mio disegno,
per quanto ricca e complessa, non potrà mai tradurre perfettamente l'intero
flusso delle mie sensazioni, impressioni, sentimenti, memorie ecc. Ma solo
fissando di volta in volta, in ogni singolo disegno, una determinata forma tra
le infinite, posso sia comunicare, almeno in parte, il fluire delle mie
percezioni, sia averne consapevolezza e capacità di misurarle e ordinarle,
esercitando attivamente le mie energie formatrici e trasformatrici, anziché
limitarmi a subirne passivamente il flusso. In questo modo realizzo, col
disegno, i variegati «accordi singolari fra l'anima, l'occhio e la mano», di cui
scrive Paul Valéry. Quegli accordi che Picasso traduce con l'immagine del
disegno come «una specie di ipnotismo» per il quale l'immagine mentale
occasionata dal vedere sensibile si travasa come immediatamente nel segno
grafico.
In questo senso l'esercizio del disegno
è attività preziosissima, oltre che necessaria, rispetto ad ogni forma di
ideazione, progettazione e rappresentazione. L'esempio forse piú classico della
forza costitutiva del disegno possiamo trovarlo nel noto passo del Trattato della pittura di Leonardo, dove
si legge: «nelle macchie de' muri, o nella cenere del fuoco, o nuvoli, o fanghi
( ... ) da te considerati, tu vi troverai dentro invenzioni mirabilissime (...)
nelle cose confuse lo ingegno si desta a nuove invenzioni». Dando forma al flusso
percettivo, in forme sempre nuove e ordine sempre piú armonico, cioè insieme
ricco e unitario, pongo in atto niente meno che l'energia generatrice di ogni
forma di civiltà, ossia la sintesi di intelligenza e volontà, orientata a porre
in luce significati sempre piú evidenti ed ampi, atti a realizzare ordinamenti
sempre piú prossimi all'universalità e insieme pienamente realizzatori delle
singole persone.
Si può dunque estendere al disegno una
consueta espressione, nel termini: dimmi come disegni e ti dirò come sei e come
diventi. In altre parole: il grado di perfezione dell'esercizio delle tue
capacità percettive e riflessive si traduce tanto nella grafia, quanto nel
disegno, quanto nel gestire, nel parlare, nello scegliere ecc., insomma in ogni
forma propria della tua persona. Perfezionare e armonizzare ogni singola forma ‑
o, al contrario, deteriorarla ‑ contribuisce a perfezionare ‑ o a
deteriorare e impoverire ‑ l'intera persona. Di conseguenza, ribellarsi,
per arbitrarietà, all'idea di realizzare un essenziale disegno, come necessaria
premessa o fase fondatrice della realizzazione compiuta di una qualsiasi opera,
è atteggiamento che da sé si condanna, presto o tardi, a inerzie violentemente
barbariche. La consunzione intenzionale del disegno, quale è operata oggi ad
esempio dal celebre l'artista" statunitense Cy Twombly, naturalmente
valorizzato da "intellettuali" come Roland Barthes e quindi dal
mercato, nella mia prospettiva è essenzialmente un eloquente sintomo di ben piú
ampie fondamentali consunzioni e dissoluzioni, quelle del significato e
dell'ordine in quanto tali.
In
questo senso considero gravemente riduttiva la tendenza ad identificare il
disegno con le attività di progettazione o con quelle del design. Cosí come considero il cosiddetto anti o counter-design nei casi migliori un giochetto imbecille, una
delle tante forme di estenuato avanguardismo. I gridati anticonformismi delle
varie avanguardie in realtà mascherano di decostruzionismo o distruzionismo
profonde pulsioni conformiste. Esse infatti fruttificano le conseguenze meno
creative e fantastiche e piú mediocrizzanti e immiserenti, accrescendo i mucchi
già squallidamente ciclopici della spazzatura umana. L'unico positivo
anticonformismo è quello della creatività. I massimi anticonformisti e
rivoluzionari rispetto alla concezione del disegno sono forse Leonardo e
Michelangelo. Qui occorrerebbe connettere al disegno un elemento fondamentale:
la luce, dunque il colore ‑ e il calore ‑, ossia alla scansione
spaziale e temporale quella tonale, dunque, potenzialmente, anche la
«temperatura» musicale: ben "oltre il disegno".
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(*) V. P. P. Ottonello : Scudisciate
all'estetica, Venezia, Marsilio, 2000.